La comunità diventa adulta
“I giorni dell’uomo durano come l’erba
fioriscono come un fiore di campo
appena il vento lo investe più non esiste”
(salmo 103,15-16)
Di queste parole del salmista dovette purtroppo fare dolorosa esperienza la giovane comunità di S. Giovanni Crisostomo.
Erano i primi giorni di maggio del 1979
quando, inaspettata, si diffuse la notizia: – Don Enrico è ricoverato in ospedale – ; e poi, ancora più terribile, quello che nessuno avrebbe voluto sentire: -E’ un male incurabile. –
Si capiva allora, riandando col pensiero agli ultimi mesi, perché qualcosa in lui era cambiato.
Il prorompere di idee, di suggerimenti e di stimoli per la sua comunità, che aveva caratterizzato tutto il periodo precedente, si era stemperato in una serena accettazione della volontà di Dio che gli metteva davanti con segni inequivocabili la fine prossima della sua attività terrena.
Il male lo tormentava sicuramente, ma ancora di più il dispiacere di doversi separare fisicamente da quella comunità che aveva visto nascere e che aveva fatto crescere giorno dopo giorno, fino a portarla ad essere adulta.
Perché cresciuta lo era davvero la comunità di S.Giovanni Crisostomo.
Quanto era stato fatto negli anni precedenti aveva portato molti suoi laici a maturare una coscienza di Chiesa come realtà che nasce dall’ascolto della Parola di Dio, che cresce là dove si celebra la liturgia, che è testimoniata dall’amore dei fratelli; e su questi tre principi che generano la Chiesa la comunità imposta ora, nella seconda metà degli anni ’70, la pastorale nel quartiere, orientata verso l’evangelizzazione e la catechesi, la vita liturgica, la carità e il servizio ai fratelli.
E’ il periodo in cui si consolida l’intuizione che la famiglia, cellula della comunità ecclesiale, deve diventare sempre più il centro unificatore, e soggetto essa stessa, di tutta fazione pastorale.
Nella catechesi ai ragazzi non si dimentica che questi fanno parte di un nucleo familiare e quindi viene sempre rivolta particolare attenzione anche ai loro genitori, per sensibilizzarli e coinvolgerli nell’educazione di fede che la comunità attua nei confronti dei loro figli.
E mentre si dà vita, nel maggio ’77, ad incontri dedicati ai problemi educativi della famiglia, si sollecita la formazione di gruppi di catechesi familiare, con aggregazione spontanea, guidati da laici e sacerdoti insieme.
Per i giovani che si preparano al matrimonio, la parrocchia perfeziona l’ormai tradizionale “Corso per fidanzati”, avvertendo anche il limite che per questa iniziativa può costituire la mancanza di una adeguata preparazione remota dei fidanzati, per i quali molto spesso il discorso sul valore sacramentale del matrimonio come scelta di fede rimane incomprensibile o estraneo.
Per questo, nel maggio del ’77, viene attuata una serie di incontri coi ragazzi di seconda e terza media sul tema della vita come vocazione.
Si può però dire che l’attenzione principale della comunità di S. Giovanni Crisostomo in questo periodo è rivolta ancora una volta alla celebrazione della Eucaristia domenicale.
E’ un impegno che nasce dalla preoccupazione di trasformare questo momento, da molti accolto e vissuto come un fatto di costume, in una viva espressione di fede, in un momento di vera preghiera e di sincero ascolto della Parola di Dio, in una autentica esperienza di comunione ecclesiale.
Questo impegno, che era stato prioritario in don Enrico già dai tempi poveri della baracca e che aveva portato la comunità a seguire con vivo interesse le varie fasi della riforma liturgica, fa sentire ora l’esigenza di riproporre una nuova approfondita catechesi sulla Messa.
Se ne pongono le basi in una “due giorni” a Triuggio, nell’aprile del ’75: si tratta di far in modo che la riforma liturgica, avviata dal Concilio e già in buona parte attuata dalla nostra comunità, non sia vista come un’imposizione dall’alto, ma sia compresa nel suo spirito profondo e sia perciò vissuta come un aiuto offerto perché la comunità possa arrivare, tutta insieme, a vivere in modo sempre nuovo ed autentico l’esperienza dell’assemblea eucaristica domenicale. Diversi altri sono i segni che lasciano capire come la comunità di S. Giovanni Crisostomo sia ormai divenuta adulta:
il Consiglio Pastorale Parrocchiale,
dopo quasi quattro anni di vita, si interroga seriamente sulla sua funzione e sulla sua responsabilità: tra il giugno e l’ottobre del ’75 viene fatto un serio lavoro di revisione sulla base di un questionario distribuito ai membri del C.P.P..
La visione pastorale si allarga poi oltre i confini della parrocchia per unirsi al respiro più ampio del decanato: è del novembre ’76 un intero C.P.P. dedicato alla conoscenza della realtà del decanato, per capirne il significato e le funzioni e definire in maniera più decisiva e concreta una partecipazione della parrocchia.
Viene inoltre stimolata e valorizzata, sempre dal Consiglio Pastorale, la formazione dei gruppi, come ambito in cui la tensione comune a praticare il Vangelo in una vita autenticamente cristiana si possa esprimere in forme diverse e originali e nel contempo siano possibili rapporti interpersonali più veri e profondi.
Così, all’inizio del ’74, don Enrico propone alla comunità parrocchiale, con l’approvazione del presbiterio e del C.P.P., una catechesi alla riscoperta del Battesimo che porta, alla fine della Quaresima di quello stesso anno, alla nascita della prima comunità neocatecumenale.
Si tratta di un gruppo di persone di diversa età, condizione sociale, mentalità e cultura che, avendo accolto un annuncio portato inizialmente da una equipe di catechisti itineranti provenienti da Roma, intraprende un cammino che, attraverso varie tappe, condurrà ad una graduale presa di coscienza o riscoperta della propria fede.
Questa stessa comunità poi, facendosi carico della tensione della parrocchia all’evangelizzazione e alla catechesi permanente per gli adulti, esprimerà dal suo seno dei catechisti che, in catechesi successive dal ’76 all’88, porteranno alla nascita di tre nuove comunità neocatecumenali.
L’inesauribile slancio missionario della prima comunità la spingerà anche a superare i confini della parrocchia e ad inviare, in catechesi itinerante, una coppia di sposi con i propri figli, dapprima in Valtellina e successivamente in Sardegna.
Nel giugno del ’76 viene anche costituito il gruppo della Terza Età, ispirato al movimento omonimo che proprio a Milano ha avuto da poco inizio per impulso del Cardinale Colombo.
Con l’aiuto del parroco e di valenti animatori, questo gruppo, attraverso incontri settimanali di catechesi, attraverso momenti di ricreazione e di cultura, rende viva l’attenzione della parrocchia per quella fascia di persone maggiormente indifese nei confronti della solitudine e dell’emarginazione – gli anziani – dei quali si favorisce l’apertura all’accoglienza e all’aiuto reciproco.
E’ ancora del 1979 la costituzione della Compagnia Teatro Giovane.
In realtà, il modesto teatrino ricavato sotto il presbiterio della chiesa era già servito più volte, in precedenza, per spettacoli di “arte varia”: fossero le nostre ballerine in erba, che concludevano con coreografie o favole danzate la loro attività oratoriana, o i semi-seri papà dei Maitrainsema o í dilettanti allo sbaraglio, tutto comunque era servito ancora una volta per creare occasioni di incontro e festa tra le persone e magari anche… per raggranellare qualche soldino per le necessità dell’oratorio.
Ma ora, con la nascita della nuova compagnia, che proprio nel ’79 esordisce con la messa in scena di un delizioso “Piccolo Principe” e che collaborerà anche, negli anni successivi, alla risistemazione del palco, dell’impianto luci e di tutto l’ambiente del teatro, l’impegno diventa ancora più serio e culturalmente qualificato.
Dall’interesse per l’approfondimento della Parola di Dio e dal bisogno di farla diventare luce per la propria vita, era nato, sempre nella seconda metà degli anni ’70, il gruppo familiare di via Cavezzali; dallo stesso interesse e dallo stesso bisogno nasce ora, nel gennaio del ’79, il gruppo del “mercoledì mattina”, anche come risposta all’esigenza di chi, non potendo uscire la sera per partecipare agli incontri, sente comunque il bisogno di approfondire, nella meditazione delle letture bibliche, la preparazione alla liturgia domenicale.
Nel frattempo gli altri gruppi, già da tempo operanti in parrocchia, proseguono nella loro azione e precisano i propri obiettivi.
Certo non mancavano anche allora le incertezze e le inquietudini; anzi la comunità ne era cosciente e ne fece palese comunicazione, non senza coraggio, al Cardinale Colombo, in occasione della sua visita pastorale, nel dicembre del ’75.
Riguardavano soprattutto la difficoltà di trovare un senso preciso per il lavoro nel C.P.P., alla ricerca di un equilibrio tra le finalità squisitamente pastorali e le esigenze formative che sottendono a qualsiasi gruppo che voglia esprimersi come Chiesa; il rammarico per non avere ancora individuato e fatto proprio uno stile di presenza cristiana nel quartiere, con tutte le implicazioni di carattere sociale e politico; infine anche il dispiacere di vedere una comunità ancora largamente imperfetta, dove incomprensioni, chiusure, debolezze umane segnavano talvolta lo stare insieme.
Ma erano incertezze e inquietudini che non compromettevano la crescita e la maturità della comunità, anzi ne davano conferma, dato che la comunità stessa ne era cosciente e lavorava per superarle.
Illuminante per capire lo spirito con cui in questo periodo ci si muoveva è quanto “don Enrico ed un gruppo di amici scrivevano nell’ottobre del ’76, invitando i membri del C.P.P. ad una giornata di riflessione e di preghiera per l’inizio di un nuovo anno:
“Da questo incontro ci attendiamo molto.
Innanzitutto vogliamo ritrovarci insieme per vivere in comunità una parte della nostra giornata e rinsaldare tra di noi il vincolo della carità.
Si tratta di rinnovare un’esperienza di vita, di riscoprire praticamente un valore a un livello più profondo ed autentico.
Staremo, singolarmente e insieme, di fronte alla Parola di Dio, in ascolto e disponibili al dialogo.
Pregheremo insieme. Rifletteremo insieme. Gioiremo insieme.
E tutto nell’impegno di essere Chiesa, il più intensamente possibile.
Da quest’esperienza, che intendiamo ripetere periodicamente durante l’anno, ci attendiamo anche un rinnovamento della nostra comunità.
Di fronte alla Parola di Dio ognuno sarà impegnato in una seria revisione di se stesso, alla luce della sua vocazione nella Chiesa e nella società.
Potremo così prendere più chiara coscienza di quanto il Signore oggi ci chiede, dei progressi fatti, delle lacune e delle insufficienze davvero notevoli.
La nostra responsabilità cresce con il tempo.
La Chiesa dei nostri giorni esige dai laici una preparazione ed un senso di responsabilità assoluti. E’ l’epoca della maturità.
E per noi, parrocchia di S. Giovanni Crisostomo della chiesa milanese, è l’epoca delle decisioni senza riserve, dell’impegno totale e concreto.
E’ il Signore che ci chiama a tanto.
I dubbi e le incertezze sono fuori luogo; affidiamo a Lui la nostra disponibilità, questo nuovo anno che inizia, la nostra comunità”.
Secondo una logica umana poteva sembrare un vero peccato che don Enrico, il primo parroco di questa comunità, se ne fosse dovuto andare proprio nel momento in cui la sua famiglia cristiana cominciava a camminare con passo spedito, adulto, dietro di lui, verso il Signore.
E a questo sicuramente pensavamo tutti noi quando, in quei primi giorni di luglio del ’79, stavamo, pieni di tristezza, accanto alla sua salma, a guardare il suo volto composto nella serena immobilità della morte, o quando seguivamo pregando il suo feretro che si avviava all’ultima dimora.
Ma solo secondo una logica umana. Per chi guarda lo svolgersi della storia come manifestazione di Dio al suo popolo, quello che era successo e che sarebbe seguito costituiva il segno evidente che ancora una volta il seme era caduto per terra, aveva germogliato e dato i suoi frutti.