Il primo parroco
Venendo da un ambiente paesano e familiare come la Brianza, da un paese ricco di strutture e di iniziative come Maresso, don Enrico Molteni dovette certo fare ricorso a tutto il suo coraggio e a tutta la sua fede per accettare l’invito, rivoltogli dal cardinale Montini, arcivescovo di Milano, di diventare parroco di una parrocchia che ancora non esisteva, con una chiesa che era solo una baracca, in un quartiere che a quei tempi pareva piuttosto un grande cantiere.
E forse a questo pensava, e di questo espresse la sofferta consapevolezza quando, l’ultima domenica di ottobre del 1961, celebrando la sua prima Eucarestia in mezzo a noi, tenne l’omelia sul tema “Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore”.
Ma forse furono proprio le esperienze fatte nella parrocchia brianzola che gli diedero la speranza e la volontà di riuscire a porre, anche in una eterogenea e disarticolata periferia cittadina, le basi per la costruzione di una comunità.
All’inizio si servì dell’Azione Cattolica, distinta com’era allora nei vari rami maschili e femminili, adulti e giovanili, che egli riuniva in una stanza attigua alla sua abitazione, al n. 95 di Via Padova.
Cominciò così a raccogliere attorno a sé e a formare i suoi collaboratori, in anni in cui il Concilio Vaticano II riscopriva e valorizzava la presenza dei laici nella Chiesa, considerata tutta un popolo sacerdotale, profetico, regale, pur nella diversità dei vari ministeri.
A queste idee don Enrico fu subito molto sensibile e le fece circolare abbondantemente come linfa vitale della nuova comunità.
Pur se il suo carattere riservato gli rendeva a volte difficile e faticoso il rapporto con gli altri, si preoccupò però subito di avviare iniziative che aiutassero le persone ad incontrarsi, a conoscersi, a lavorare insiemeNella baracca, don Enrico e don lauro accolgono i neonati nella festa della Presentazione di Gesù al tempio.
Mancavano le strutture?
Si suppliva con la fantasia e lo spirito di iniziativa!
Così, già nel Natale 1962, i ragazzi costruivano un presepe nel cortiletto della baracca: ed era così bello che vinse il secondo premio del concorso presepi “Città di Milano”!
Oppure il 12 febbraio 1963 si invitavano le mamme, che nell’anno precedente erano state allietate dalla nascita di un figlio, a presentarlo alla Chiesa, e poi si offriva loro un rinfresco, prendendo a prestito i locali della vicina piscina Cambini.
E gli stessi locali potevano servire, pochi giorni dopo, per radunare bimbi e ragazzi a festeggiare il Carnevale.
E la domenica delle Palme si sguinzagliavano i ragazzi a recapitare ad ogni famiglia l’ulivo benedetto e gli auguri del parroco, mentre le donne dell’Azione Cattolica visitavano gli ammalati nelle loro case e recavano loro la colomba pasquale.
Ma lo strumento che don Enrico considerava più importante per fare di un insieme di individui un popolo, l’ambito in cui forse dava il meglio di se stesso, era la liturgia.
Anche se la baracca era povera e disadorna la Messa vi era sempre celebrata con solennità e decoro: per ottenere questo già nell’ottobre del ’62 si tenne una catechesi liturgica per la formazione di chierichetti e lettori, mentre don Lauro Consonni, che nel mese di giugno era venuto tra noi come coadiutore del parroco, dava il via alla Schola Cantorum.
E poi c’erano la Quaresima e le Quarantore o c’era il mese di maggio che, con funzioni e iniziative varie, riuscivano sempre a radunare moltissima gente, tanto che la baracca cominciò davvero a rivelarsi troppo angusta.
E così, nel Natale del 1962, don Enrico lanciò il primo appello ai parrocchiani per una contribuzione mensile, libera ma costante, a favore della costruzione della nuova chiesa.
Il banco-vendita della Giornata Missionaria nel cortiletto della baracca era un impegno davvero grande che la parrocchia si assumeva: eppure questo non le impedì mai di rimanere attenta alle necessità degli altri, soprattutto dei più poveri, anche oltre i propri confini.
Anzi, ancor prima di cominciare a pensare alla costruzione della chiesa, ci si era preoccupati, già nell’ottobre ’62, di allestire un banco di vendita a favore delle missioni del PIME o, nel mese successivo, di raccogliere indumenti che avrebbero dato inizio al guardaroba dei poveri.
E anche i giovani, con l’iniziativa del dicembre 1963 denominata “Arcobaleno della bontà”, si impegnavano nella raccolta di giocattoli, indumenti e dolci che poi sarebbero stati portati agli abitanti di uno sperduto paese di montagna.
Erano i primi semi che don Enrico gettava nel terreno appena dissodato della sua nuova parrocchia: i frutti li avrebbe raccolti il Signore.